Un po' di film visti recentemente.
Due mogli sono troppe (Italia, 1951), filmetto che, pur nella consapevolezza di non essere un capolavoro, pretende da sé più di quel che realmente può offrire. Co-prodotto con l'Inghilterra, i due veri protagonisti sono proprio una coppia d'inglesi in viaggio in Italia la cui metà femminile è Sally Ann Howes, famosa per aver girato, quasi vent'anni dopo, il mitico
Citty Citty Bang Bang! Secondo i cartelli dell'edizione italiana, però, sia lei che il partner maschile Griffith Jones sono comprimari al servizio del "talento" di Lea Padovani che in realtà sta sullo schermo per mezz'ora scarsa! Doppiaggio CDC nella norma, con qualche vecchietto di troppo che si vuol far passare per voce da scattante giovanotto. Non tutta colpa sua, vista l'ingerente produzione italiana, ma comunque il dialoghista sarebbe potuto intervenire per evitare la ridicolaggine del nome del villaggio: Poppi del Sangro!
La morte bussa due volte. Siamo nel 1969, ma è chiaro solo dalla dicitura CDC nei titoli di testa anziché semplicemente CD, perché per il resto il thriller in questione ha tutti gli stilemi tipici delle produzioni italiane degli anni '70 nei colori disgustosi, nelle cineprese a spalla che fanno su e giù provocando il mal di mare, nei montaggi allucinati e allucinanti. Bislacca e nemmeno tanto riuscita la scelta di
Dhia Cristiani, ormai consacrata a ruoli da anziana caratterista, per doppiare un'Anita Ekberg ancora molto in forma, soprattutto quand'è senza veli
Nulla da eccepire, al contrario, riguardo a
Locchi, voce perfetta per l'invidiabile fisico dell'imbambolatissimo Fabio Testi che spesso e volentieri è a torso nudo nell'evidente speranza di distogliere lo sguardo dal bel volto inespressivo, ma questo può funzionare per le donzelle, l'altra parte degli spettatori guarda il viso e ride a più non posso!
Donne facili (Les bonnes femmes, 1960), pellicolaccia insulsa che non ha un bel nulla da narrare e che, per raggiungere una durata accettabile (comunque ridotta di 10' nell'edizione italiana), perde tempo con virtuosismi registici non particolarmente accattivanti e assolutamente fini a sé stessi. Fu talmente mal accolto in patria che da noi, che pure abbiamo co-prodotto il film, arrivò soltanto nel '62 con un doppiaggio CDC eseguito magistralmente nella sua estrema complessità dovuta ad un numero esorbitante di pezzi da doppiare con urla e rumori vari della bocca. Le quattro protagoniste hanno le voci di
Betti, Di Meo, Savagnone e -incredibile!-
Bonansea e c'è la chicca della grande Ave Ninchi doppiata da
Lydia Simoneschi la quale, invece d'insegnare l'italiano com'è palese che accade in originale, nella nostra versione consiglia alla Di Meo d'imparare la dizione per poter diventare una buon'attrice, spiegando così perché Ave insiste sulla pronuncia di "braccia" in cui Maria Pia fa sentire distintamente la I: ottima trovata!
I giorni più belli (Italia, 1956), commedia dai buoni sentimenti che risulta scialbetta puntando esclusivamente sur un gran numero di famosi attori dell'epoca coinvolti anche in poche scene, come De Sica, Riva, Billi, Checchi, Campanini, Castellani, perfino Cigoli (che non parla!), accanto ad altri nomi celebri in ruoli di maggior spessore quali Interlenghi, la giunonica sua metà Antonella Lualdi (tra i pochi doppiati, nello specifico dalla
Di Meo), i due Carotenuto, Clelia Matania (curiosamente pure lei senza la sua voce ma con quella della
Simoneschi che ne fa un'attrice del tutto diversa!) e soprattutto la delicatissima Emma Gramatica la quale dipinge una bella particina col tenero candore della terza età.
Il lupo dei mari (The Sea Wolf, 1941), uno dei non pochi film ad esser ritenuti dei capolavori quasi indiscutibili e che al contrario io ho trovato barbosissimo malgrado l'atmosfera di mistero umidiccio di cui gode fin dalle prime inquadrature. Indubbiamente la performance del protagonista Edward G. Robinson è notevole come sempre in questo grandissimo attore, ma non so se questo possa esser sufficiente a non far addormentare lo spettatore, compreso l'appassionato di doppiaggio italiano che, in piena tradizione schifosamente Warner, vi trova appena cinque voci note dovendosi rassegnare per il resto ad ascoltare la recitazione piatta e monocorde di tipi semisconosciuti come
Ennio Cerlesi e
Corrado Racca.
Il diario di un condannato / Sotto il sole rovente (The Lawless Breed, 1953), discreto western con ottimi colori che ha una prima buona parte più tradizionale per uscire invece felicemente fuori dai canoni nella sezione verso il finale. Rispetto al precedente, questo film, di produzione Universal (sempre sia lodata!), ha permesso alle mie orecchie finalmente di respirare grazie ad una ventina dei più validi prestavoce del tempo, tra i quali stranamente
Rinaldi è impiegato in una parte minuscola e non su Rock Hudson (che già aveva doppiato in precedenza) il quale passa ad un sorprendentemente ottimo
Cigoli scelto forse per via della voce da uomo fatto e non da ragazzo che meglio s'adatta alle varie età del personaggio.
Le 5 schiave (Marked Woman, 1937). Dopo un inizio sonnolento abbastanza tipico del cinema anni '30, contraddistinto per di più da una regia quanto meno curiosa che chiede agli attori di guardare direttamente in camera come se stessero parlando allo spettatore, la gangster story in questione si fa più interessante, anche se una certa noia serpeggia qua e là facendola apparire una pellicola lunghissima. Di nuovo un film Warner, di nuovo tante voci sconosciute (persino quella della protagonista Bette Davis!) tra le quali sono stato in grado d'individuare solo
Persa, Luigi Pavese e
Corte (i più preparati aggiungono
Majeroni, ma nessun altro).
Questa notte o mai (This Could Be the Night, 1957). Non so dire perché mi sia piaciuto, in fondo è anche un film piuttosto teatrale e pieno dei cliché più fastidiosi che riguardano gl'italiani, però fin dai primi istanti ho avuto una piacevole sensazione nel guardarlo e me la sono trascinata sino alla fine. Forse è anche merito dell'ottimo doppiaggio, pur trattandosi di produzione MGM, dove la
Betti è assai più brava del solito ed è affiancata da un
Rinaldi e un
Romano che in stato di pura grazia recitano con un'impeccabile calata partenopea favolosamente gustosa.
La rivale di mia moglie (Genevieve, 1953). Bellissimo titolo italiano in luogo di quello squallido dell'originale per una commedia che gode d'un credito pazzesco fin da quando fu distribuita al cinema (vinse il British Oscar per il miglior film dell'anno!) non completamente comprensibile: è vero che le tante vicissitudini dei quattro protagonisti non risultano stancanti come si potrebbe prevedere se se n'elencasse il numero, è vero anche che più di qualche dialogo appare brillante, gli attori capaci e il Technicolor assolutamente superlativo, ma certo ho visto film scacciapensieri di gran lunga più belli e che invece vengono bellamente ignorati o quasi. Il doppiaggio rivela una prestazione insolitamente impeccabile di
Dhia Cristiani insieme ai sempre eccezionali
Locchi, Sibaldi e
Calavetta: data la produzione inglese e le voci elencate, nonché altre che ricordo in ruoli di contorno (
Turi, Tettoni, Busoni, Polacco, Persa), la direzione del doppiaggio è certamente la stessa dei film MGM (
Franco Schirato), ma anche il dialoghista dev'essere lo stesso maniaco delle ridicole traduzioni a tutti i costi anche nei nomi: Wendy diventa Jenny, Alan è Lallo, Rosalind diviene Rosalinda, Ambrose viene ribattezzato Ambrogio, senza dimenticare la vera protagonista Genevieve il cui nome è inquadrato spesso senza che perciò risulti molto comprensibile come mai tutti ne parlino come di Genoveffa!
Tutto finisce all'alba (Sans lendemain, 1940), film che può piacere solo a tre categorie di persone: a chi ama inzuppare il fazzoletto davanti alla TV (e decisamente io non rientro tra loro!), ai non pochi ammiratori del regista Max Ophüls che qui però è anonimo nella migliore delle ipotesi quando non del tutto ridicolo (ma che porcheria è quella della tendina disegnata su certi fotogrammi che rimane fissa mentre la macchina da presa si sposta freneticamente!?!), agli appassionati di doppiaggio che qui possono godere d'una versione italiana effettuata in piena Seconda Guerra Mondiale (ma le bellissime voci non sono al loro meglio e i dialoghi fanno pena: "je vais les chercher" tradotto letteralmente con "vado a cercarli" anziché "a prenderli", tanto per dirne una, come se la gabbia degli uccellini in questione se ne andasse in giro da sola...).
Non c'è amore più grande (Italia, 1955). Il melodramma è più melodramma che mai, il soggetto è del tipo che più detesto e un paio d'assurdità fanno mettere le mani nei capelli, però la produzione è proprio niente male: regia senza tentennamenti (a parte la scena del bambino che sveglia Carotenuto), grosse interpretazioni non solo da parte di mostri sacri del cinema italiano (Arnoldo Foà, il già citato Mario Carotenuto, Gino Cervi, Aldo Silvani) ma anche della generalmente più modesta Antonella Lualdi che in questo caso sente molto il personaggio e lo restituisce in maniera forte e vibrante, aiutata comunque nella recitazione dal doppiaggio della
Simoneschi che firma l'ennesimo suo capolavoro. Tutto il doppiaggio è in realtà di livello tanto eccellente da far girar la testa, con nomi importantissimi come
De Angelis, Marcacci o
Besesti (tanto per citare tre degl'innumerevoli che vi si possono sentire) impegnati in pochissimi anelli e con
Cigoli che addirittura ha un'unica battuta perfino incompleta! Dispiace davvero che in questo mare di perfezione, insolito per una pellicola italiana e che eleva il livello dell'idea di partenza, ci si trovi dinanzi ad un protagonista maschile proprio smunto (Franco Interlenghi) che con voce effeminata e poco convincente s'autodoppia con buona pace del grande
Locchi che avrebbe potuto sostituirsi a lui in maniera di gran lunga più esaltante (cito Pino e non Rinaldi perché il primo ha lavorato comunque nella prima scena del film dove si sentono anche
Di Meo, Bellini e altri).
L'assassino di pietra (Italia, 1973). Se m'avessero chiesto di scrivere una tagline per il manifesto di questo film, avrei proposto "Non avete capito niente con
Improvvisamente l'estate scorsa? Qui vi raccapezzerete ancor di meno!". A parte il clou della vicenda consistente nell'anniversario della morte di certi siciliani che l'antagonista (Martin Balsam doppiato da
Arturo Dominici ) vuol rievocare con un bel massacro vendicativo, per il resto non sono stato in grado di comprendere un solo dettaglio di quest'assurdo filmaccio hippy avente per protagonista quella faccia ridicola di Charles Bronson che si fregia dell'impareggiabile voce di
Rinaldi.